Paola Ragnetti

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L'allenamento ad una corretta respirazione diaframmatica come prevenzione degli attacchi di panico.

Nel perseguimento del benessere psicofisico ho dato una gran rilevanza al saper respirare bene. Ora vorrei segnalarvi alcuni studi che, oltre all’esperienza clinica, mi hanno portato a questa convinzione.

Ricordo un articolo estremamente interessante del dott. Filippo Falzoni Gallerani che evidenzia il collegamento fra attacchi di panico e respirazione:

“Se per la salute generale la respirazione è importante, la relazione tra respiro e attacchi di panico è cruciale e diretta. Solamente dagli inizi degli anni ottanta il DAP (disturbo da attacchi di panico) è stato inserito nel manuale diagnostico e statistico redatto dalla American Psychiatric Association come disturbo specificamente identificato.

Ho avuto presto modo di riconoscere con certezza il rapporto esistente fra l'insorgere delle crisi di panico e gli squilibri associati alla respirazione, e già nel 1986 fu pubblicato sul Corriere della Salute allegato del Corriere della Sera, un articolo sulle mie ricerche.

Esaminando moltissime persone che soffrivano di questo disturbo, ho rilevato che nella maggioranza dei casi all'origine del panico c'è un meccanismo molto semplice: individui (spesso inconsapevoli di soffrire da tempo di una respirazione non ottimale, irrigidita e contratta) sono estremamente spaventati dalle sensazioni che emergono quando inconsapevolmente intensificano la respirazione. La sensazione di "mancanza d'aria" che accompagna a volte l'iperventilazione, e i meccanismi associati agli squilibri acido-basici producono sensazioni forti e inaspettate che il soggetto non sa come affrontare ed interpretare e che lo disorientano fortemente.

I sintomi più comuni sono: timore di perdere il controllo, sensazione di soffocamento, sensazione di svenimento, giramenti di capo, tachicardia, tremori, sudorazione, depersonalizzazione, torpore o formicolio, improvvise vampate di calore o senso di freddo, fastidio al torace, paura di morire, paura di impazzire o di fare qualcosa d'incontrollato.

Tali sintomi portano al timore di allontanarsi dall'abitazione o di guidare, di restare soli, di affrontare viaggi, ecc. con gravi limitazioni della vita personale e sociale.

Il DAP è molto diffuso e si stima che ne soffra oltre il 8% della popolazione dei paesi sviluppati, vale a dire un numero estremamente grande d'individui. Esso può colpire improvvisamente individui altresì sani e socialmente realizzati.

Al contrario di quanto si era creduto sino ai primi anni 80, l'attacco di panico non è assimilabile ad una forma d'ansia acuta e passeggera, ma è in un disturbo a sé stante.

Nella maggior parte dei casi di DAP una sola crisi basta a far nascere il timore che essa possa ripetersi. Il soggetto ha un'inconscia paura di respirare liberamente, teme che lasciandosi andare a ciò che ha dentro possa perdere il controllo.

Chi ha avuto la prima crisi in aereo avrà paura di viaggiare con quel mezzo e, nel timore che quel qualcosa di strano e incontrollabile possa accadere di nuovo, inizierà ad evitare ogni altro mezzo di trasporto, anche l'auto, temendo di essere colto da un attacco magari in pieno traffico.

Alcuni incominciano a poter guidare solo se accompagnati, per poi restringere ulteriormente il loro raggio d'azione sino a giungere, nei casi più gravi, a temere perfino d'uscire da casa.

Attualmente la terapia medica convenzionale ritenuta più valida consiste nella somministrazione di antidepressivi e/o ansiolitici, tale intervento non è privo di controindicazioni ed effetti collaterali, e non pare comunque risolutivo.

Alla terapia farmacologica sono spesso associate tecniche cognitivistiche e comportamentistiche, e gruppi di sostegno.

Un paio d'anni fa, il Prof. Battaglia all'Ospedale San Raffaele di Milano, dopo dieci anni di ricerche ha scoperto l'inconfutabile esistenza di una relazione tra gli attacchi di panico e la respirazione. Ha costatato che i soggetti che soffrono di panico mostrano una reazione "si potrebbe dire quasi allergica" all'eccesso di anidride carbonica (e, infatti, il respirare anidride carbonica pura può innescare un attacco nei soggetti predisposti).

Il suo gruppo di lavoro ha potuto constatare che le sensazioni scatenanti i casi di panico avevano molti punti in comune con quelle indotte dall'iperventilazione, e che esisteva un'evidente relazione tra gli attacchi di panico e le alterazioni del respiro.

Si è notato che i sintomi dell'iperventilazione (capogiro, formicolio alle mani, timore di perdere il controllo emotivo, respiro affannoso, oppressione, vertigine, paura ed eventuale tachicardia) sorgono con estrema facilità in soggetti predisposti e in coloro che, senza esserne coscienti, si trovano in condizione di subventilazione, vale a dire respirano male

Ancora una volta quindi arriva una conferma della utilità di un buon controllo dell’atto respiratorio.”

Si può sostenere quindi che cause e sintomi degli attacchi di panico sono definitivamente risolti se la cura è diretta alla radice del problema: lavorando cioè per sbloccare la respirazione e non per limitarla o inibirla.

Invece di ridurre la respirazione intenzionalmente o cercare la soluzione tramite l'assunzione di farmaci, si dovrebbe riconoscere che proprio il respiro che innesca la crisi ne è la cura naturale. Si deve perciò insegnare al soggetto a respirare sino ad eliminare lo stato di subventilazione causata, dalla "corazza psicosomatica" e gli stati di iperventilazione involontaria che spesso ne conseguono.

Respirare profondamente, sotto la guida di un esperto, permette di superare con facilità i momenti in cui l'ansia si manifesta e si scarica. In un contesto opportuno le sensazioni fisiche ed emotive possono essere affrontate tranquillamente.

Il soggetto riconosce che il respiro non è pericoloso e comprende che le sensazioni lo accompagnano sono le naturali risposte dell'organismo e si libera dal timore che tali sensazioni sino il segno che è sull'orlo dello squilibrio mentale.”

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